venerdì 22 luglio 2011

Il biglietto del metrò a un euro e mezzo

Approvato l'aumento, entrerà in vigore da settembre. Invariato il costo dell'abbonamento annuale

La giunta di Palazzo Marino varerà l’aumento del biglietto Atm a 1,5 euro nella giunta del 29 luglio. Lo hanno annunciato dopo la riunione dell’esecutivo gli assessori al Bilancio Bruno Tabacci e alla Mobilità Pierfrancesco Maran. Non aumenterà il costo dell’abbonamento annuale. L’incremento, secondo quanto riferito da Maran, dovrebbe entrare in vigore da settembre.

Corriere della Sera

giovedì 21 luglio 2011

Il magnate russo Lebedev potrebbe acquistare e far rivivere il News of the World chiuso da Murdoch

Il miliardario e magnate mediatico russo, Aleksandr Lebedev, titolare del tabloid britannico The Independent e del The London Evening Standard, sta considerando «molto seriamente» l'opportunità di acquistare da Rupert Murdoch News of the World, il più venduto domenicale di sempre, chiuso in seguito allo scandalo delle intercettazioni telefoniche.

Per raccogliere dei fondi sufficienti per il deal – «attualmente non ho come si dice in inglese, le tasche abbastanza profonde per farlo», ha detto Lebedev stesso – il magnate potrebbe mettere in vendita alcuni delle proprie attività più ghiotte, tra cui il 19,5% della compagnia aerea di bandiera russa Aeroflot. Non subitissimo, però: «Aeroflot si sviluppa molto bene, la sua capitalizzazione di mercato crescerà di sicuro, perciò aspetterò a vendere la mia partecipazione», ha detto il miliardario.

Lo scorso gennaio Lebedev aveva già ceduto all'Aeroflot un pacchetto azionario pari al 6,3% di capitale della compagnia aerea. Secondo il quotidiano finanziario Vedomosti la vendita dei titoli alle condizioni attuali di mercato avrebbe causato a Lebedev una perdita di 3,3 miliardi di dollari.

Secondo la classifica della rivista Forbes, Lebedev si trova al 564° posto della lista degli uomini più ricchi del mondo con 2,1 miliardi di dollari di capitali personali. In Russia Lebedev, ex agente dei servizi segreti e amico personale del premier russo, Vladimir Putin (ex colonnello del Kgb anche lui) controlla insieme a Mikhail Gorbaciov il quotidiano indipendente Novaya Gazeta, per la quale scriveva la giornalista Anna Politkovskaja, una delle voce più critiche del Cremlino, uccisa a colpi di pistola a Mosca nell'ottobre del 2006. Nell'ambito della politica di internazionalizzazione, lanciata da Lebedev, Novaya Gazeta è disponibile anche nella sua versione in lingua inglese.

In passato Lebedev aveva più volte dichiarato che «sarebbe felice se fosse riuscito a vendere tutto il suo business in Russia», per concentrarsi sulla gestione delle sue attività mediatiche in Gran Bretagna: «Avrei ricostruito News of the World in una nuova testata che sarebbe chiamato World news», ha detto Lebedev. «I miei giornalisti non avrebbero dovuto occuparsi di intercettazioni telefoniche, ma avrebbero condotto delle interessanti inchieste giornalistiche, nel pieno rispetto delle leggi». Lo scorso maggio Lebedev aveva già preannunciato la preparazione alla cessione del proprio pacchetto pari al 76,3% della banca Natsionalij Rezervnij Bank.

Negli ultimi tempi i nuovi ricchi russi stanno diversificando il proprio business investendo i propri milioni in attività di vario tipo in Occidente. Dopo Roman Abramovich, titolare del club calcistico Chelsea, Bulat Chagaev, uomo d'affari ceceno vicino al presidente, Ramzan Kadyrov ha acquistato Xamax, la squadra svizzera di calcio del Neuchâtel. Appassionato di pallone, Chagaev afferma di nutrire grandi ambizioni per il club elvetico che nel proprio stemma porta anche il disegno stilizzato delle montagne del Caucaso e degli tradizionali elementi decorativi ceceni.

Google Plus tocca quota venti milioni e punta alle celebrità

Da zero a venti (milioni di utenti) in tre settimane. Google Plus, la nuova rete sociale made in Google, che punta a fare concorrenza a Facebook sta crescendo a un ritmo forsennato. Non sono dati ufficiali, ma si basano sulle stime effettuate da Paul Allen, fondatore del sito di geneologia Ancestry.com, che li ha ottenuti misurando l’incremento della presenza di persone con lo stesso cognome, all’interno di un campione scelto a caso, all’interno del network.

Il tasso di crescita dell’ultima settimana comunque essere leggermente inferiore rispetto a quello degli inizi, quando si registravano un milione di nuovi membri al giorno. “negli ultimi quattro giorni - ha spiegato Allen con un post proprio su Plus – ci sono stati in media soltanto 948.000 nuovi utenti e ieri (martedì, per chi legge n.d.r.) appena 763.000, con un tasso di crescita del 4,47 %, il più basso da quando, il 6 luglio, Google ha riaperto le iscrizioni.

Verò è che finora Mountain View non ha promosso in alcun modo la nuova creatura, dal punto di vista del marketing; le cose però potrebbero presto cambiare se rispondono a verità le voci, riportate dalla Cnn , che la Grande G si appresta a lanciare una campagna di “acquisizione” di Vip e celebrità, che dovrebbero aprire i loro profili su Plus, attirando ammiratori e dando nuovo impulso al network.

Prima però, Google deve mettere a punto un sistema per distinguere i profili autentici delle star, da quelli degli impostori. Già adesso, infatti, sono presenti su Plus parecchi nomi famosi, dal Lady Gaga a Justin Timberlake: si tratta però di pagine aperte da loro fan, che non hanno alcun titolo per comunicare a nome dei loro beniamini.

Alcune star, come l’attrice Alyssa Milano (conosciuta anche in Italia per essere una delle “streghe” dell’omonimo telefilm) hanno girato il problema comunicando via Twitter il link al loro vero profilo su G+, ma si tratta, appunto, di un escamotage. Secondo la Cnn, Google starebbe lavorando a un sistema di “profili verificati” simile a quello di Twitter, che contraddistingue con un bollino blu gli account autenticati.

La società non ha confermato né smentito le indiscrezioni, limitandosi a sottolineare come G Plus sia ancora in fase di rodaggio e sia destinato ad arricchirsi in futuro di numerose funzioni. Che si tratti di un prodotto ancora acerbo, è dimostrato anche da alcuni passi falsi, come quello che ha coinvolto l’attore William Shatner, (il capitano Kirk di Star Trekkiana memoria), il cui account, appena creato è stato cancellato da Google Plus per motivi non ben chiariti, salvo poi essere rispristinato immediatamente non appena i responsabili del sito si sono accorti della gaffe e del possibile danno di immagine che ne poteva derivare. 

Federico Guerrini per La Stampa

Fiat sale in Chrysler: è al 53,5 % rilevate quote di Canada e Tesoro Usa

La Fiat sale al 53,5% di Chrysler. Lo annuncia il gruppo torinese comunicando di aver acquisito le quote del gruppo statunitense detenute dal Tesoro Usa e dal Canada. In particolare, Fiat ha acquistato dal Canada l'1,5% di Chrysler per 125 milioni di dollari e il 6% della casa automobilistica dal dipartimento del Tesoro statunitense per altri 500 milioni di dollari.

A seguito della realizzazione dell'ultimo Performance Event, entro fine anno, Fiat deterra' il 58,5% del capitale di Chrysler.

In base agli accordi, il Dipartimento del Tesoro Usa ha inoltre ceduto a Fiat i diritti spettantigli in forza dell'Equity Recapture Agreement, concluso con il VEBA il 10 giugno del 2009, per un corrispettivo di 75 milioni di dollari. Di tale importo, spiega la Fiat in una nota, 15 milioni di dollari sono stati corrisposti al Canada, in forza di accordi tra quest'ultimo e il dipartimento del Tesoro statunitense.
 

mercoledì 20 luglio 2011

Riecco le maggiorate. Supersexy e manesche

«Più tette, più proiettili, più sberle». Mai slogan fu più azzeccato e veritiero per lanciare un film, condensando, in meno di una riga, i tre motivi che spingeranno, da venerdì prossimo, migliaia di giovincelli in calore a vedere Bitch Slap - Le superdotate, pellicola datata 2009 e miracolosamente tirata fuori dal solito cassetto estivo.

Letteralmente, il titolo significa, nello slang americano, «schiaffo dato con la mano aperta» e di manrovesci, in effetti, si abbonda. Esattamente come nelle misure prosperose dei seni delle tre protagoniste, Julia Voth, Erin Cummings, America Olivo, che segnano un ritorno, sul grande schermo, delle supermaggiorate.
Il film è un chiaro omaggio al genere «exploitation» tanto caro al maestro del genere, quel Russ Meyer che a partire dal glorioso Faster, Pussycat! Kill! Kill! del 1965, adorato (non a caso) da Quentin Tarantino, ha dato voce, a suo modo, ai principî del femminismo; le sue «eroine» menavano come fabbri e sparavano come killer, ruoli riservati, fino a quel momento, esclusivamente ai maschi, sculettando però in abiti succinti che esaltavano fisici da conigliette. Un filone che ha prosperato soprattutto nei b-movies anni Settanta e che ha trovato una sorta di glorificazione grazie ai più cerebrali Tarantino (Kill Bill su tutti) e Robert Rodriguez.

L’operazione compiuta dal regista Rick Jacobson - uno che è «cresciuto artisticamente» dirigendo episodi di Baywatch, Xena principessa guerriera, Hercules e Spartacus, giusto per inquadrare un curriculum quanto mai azzeccato per questo tipo di film - è dunque chiaramente nostalgica per non dire goliardica e come tale deve essere vista. Una pellicola che miscela tutto quello che ha reso popular questo particolare genere sottocommerciale, affidando a una trama bizzarra (vi è chiaro che è solo un pretesto?) lo spunto per esaltare tutto l’immaginario (soft)erotico dello spettatore. Così, una spogliarellista, una ex galeotta pazza e una donna manager di potere (ma non manca la giapponesina cattiva vestita da scolaretta) si ritrovano in un deserto di Las Vegas, tra due auto e una roulotte, alla ricerca di un carico di diamanti appartenente a un misterioso quanto sanguinario malvivente.

E qui rimangono con scollature e tacchi alti, sangue e sudore, trascorrendo i successivi 105 minuti (eccessivi) a giocare con secchi d’acqua che mettono ancora più in luce, al ralenti, le loro forme abbondanti (neanche fossimo su Playboy Channel, con i filmati delle conigliette alle prese con il lavaggio delle macchine), brandendo enormi mitragliatrici (ogni allusione è puramente voluta), combattendo tra loro a mani nude (ci manca solo il fango) con tanto di miagolio, strappandosi vestiti che si assottigliano sempre di più, lanciandosi in rapporti lesbo (ma non illudetevi, si vede poco o nulla di quello che i maschietti sperano) che coinvolgono anche una suora.

I maschi? Comparse da brutalizzare dopo avergli fatto fare la figura dei fessi. Il tutto servito con qualche split screen, flashback alla Memento, un finale prevedibile e un budget da minimi sindacali.
Un fumettone stracult, insomma, trash, pulp, «tamarro», triviale nel linguaggio, esagerato come il push up delle tre «ladies»; ma maledettamente divertente, esteticamente galvanizzante. Meglio se visto dopo una fetta di anguria, giusto per non dimenticarsi che siamo pur sempre in estate.

Maurizio Acerbi per Il Giornale

Galoppa Apple, utile sopra i 7 miliardi

Sopra alle aspettative. I risultati del terzo trimestre fiscale di Apple hanno battuto nettamente le stime degli analisti, con un utile di 7,31 miliardi di dollari, o 7,79 dollari ad azione, rispetto a una stima di 5,85 dollari.

PIU' CHE RADDOPPIATO - Il dato è più che raddoppiato rispetto ai 3,25 miliardi di dollari dello stesso trimestre dell'anno scorso. Il fatturato è cresciuto dell'82% anno su anno a 28,6 miliardi di dollari, rispetto a una stima di 25 miliardi. Dietro a questi risultati ci sono vendite record di iPhone e iPad 2. Gli smartphone della casa di Cupertino hanno venduto 20,3 milioni di unità nel trimestre e i tablet 9,3 milioni,a cui si aggiungono 3,95 milioni di computer Macintosh.


CONCORRENZA INTERNA - Calo invece per l'iPod che ha venduto 7,53 milioni venduti, contro 8,5 stimati dagli analisti, a causa della concorrenza interna da parte di iPhone e iPad, che sono in grado di leggere file musicali, la funzionalità principale dell'iPod. «È il nostro trimestre migliore di sempre», ha commentato l'ad Steve Jobs nella nota ufficiale diffusa insieme ai risultati finanziari. Jobs rimane in aspettativa per motivi medici, con la guida operativa della società in mano al direttore generale Tim Cook. Ci potrebbero essere proprio i problemi medici del fondatore dietro alla notizia, pubblicata dal Wall Street Journal, che sarebbero partiti colloqui informali tra membri del board di Apple e cacciatori di teste per trovare un successore a Jobs. Il quale tuttavia, nota il Journal, gode comunque del pieno sostegno del consiglio.
 
Redazione online per Il Corriere della Sera

martedì 19 luglio 2011

Dal Dvd allo streaming, Netflix annuncia la fine dei supporti fisici

Sarà proprio Netflix a sancire la morte del dvd? Sarebbe un destino ironico. Il popolare sito internet aveva lanciato un’idea semplice ed efficace: portare i dischi con i film nelle case degli americani, via posta. Era un comodo noleggio a domicilio, che costava pochi dollari al mese.

Dopo la visione, la pellicola veniva restituita rispedendo indietro il dvd, senza spese a carico dell’utente. E Netflix mandava il film successivo. Visti i prezzi irrisori del servizio, milioni di amanti del cinema si abbonarono, aspettando con ansia i dischi nella cassetta delle lettere.

Poi arrivò il web a banda larga, ultraveloce, capace di trasmettere video ad alta definizione, e Netflix iniziò a cambiare: i film divennero disponibili direttamente su Internet, sempre con il pagamento di una piccola quota mensile (8 dollari). Lo streaming è pratica sempre più diffusa negli Stati Uniti, dove i telefilm vengono visti su siti internet come Hulu, che purtroppo non permette agli utenti italiani di aprire i video disponibili.

Data la popolarità dello streaming online, negli ultimi mesi Netflix aveva deciso di investire sui film disponibili su Internet, e di offrire i dvd a domicilio come servizio aggiuntivo a due dollari: fino all’altro giorno, con dieci dollari si aveva il pacchetto completo, composto da Internet e abbonamento postale.

La scorsa settimana, però, e’ stato ritoccato il prezzo del pacchetto a 16 dollari, con un aumento improvviso di 6 dollari. Gli utenti potranno continuare ad avere lo streaming online per 8 dollari. Altrettanto costeranno i dischi a domicilio. Ma chi vorrà i dischi nella cassetta della posta, vista la comodità di avere un film a portata di click?

Netflix, che letteralmente significa “pellicola della rete”, forse non lo ammette apertamente, ma l’abbonamento postale è in calo, e non si può mantenere il prezzo a 2 dollari al mese. L’azienda si limita a dire che la decisione è solo “l’ultimo passo di una transizione di lungo termine per diventare un’impresa televisiva all’avanguardia”. La quale, appunto, si concentrerà soprattutto sullo streaming online, perché il futuro è web: secondo gli analisti, nel 2011 la vendita di film sul web frutterà il doppio rispetto all’anno scorso.

Ci saranno più entrate, ma anche più spese: per potersi permettere le pellicole online, infatti, bisogna pagare onerosi permessi alle major cinematografiche. Netflix, sempre secondo le stime degli esperti, avrebbe versato almeno 400 milioni di dollari per avere le licenze. E non sono mancati i problemi, ad esempio con la Sony, che ha recentemente ritirato dal servizio duecento pellicole per problemi contrattuali.

La partnership con le major cinematografiche sarà la chiave di volta per vincere la battaglia dell’home video nell’era post dvd. L’alleanza con Hollywood sarà fondamentale, anche perché al momento diversi utenti ritengono che Netflix offra una videoteca web abbastanza povera. Sheila Haupt, residente della Pennsylvania intervistata dal New York Times, parla di “una selezione orribile” e sta ragionando, ora che i prezzi del noleggio sono aumentati, di ripiegare su HBO, una selezione di film e serie televisive particolarmente interessanti offerti, dietro pagamento aggiuntivo, sulla tv via cavo.

Ma c’e’ anche chi si dice pronto alla conversione al web. Roger Ebert, popolare critico cinematografico americano, ha annunciato che sara’ un fedele abbonato dell’opzione streaming. Gli oltre 20 milioni di utenti Netflix potrebbero seguire (e addirittura moltiplicarsi), entrando in un’epoca sempre più telematica, che ha già fatto sparire gli enormi negozi della Virgin e Blockbuster: con iPod, iPad e collegamenti superveloci, nessuno andra’ piu’ ad acquistare un cd musicale o un dvd.
Matteo Bosco Bortolaso per Il Fatto Quotidiano

XFactor al completo: dopo la Ventura e Morgan anche Elio e Arisa faranno i giudici nello show

Elio e Arisa si aggiungono a Morgan e Simona Ventura: è così al completo la squadra dei giudici di «X Factor», che in questa quinta edizione condotta da Alessandro Cattelan, ha traslocato su Sky. A Roma il 21 luglio, ultima tappa dei pre-casting. Dopo settimane di indiscrezioni che hanno scatenato il toto-nomi, Sky ha dunque ufficializzato gli ultimi due giurati della prossima edizione del programma targato Sky Uno: Elio, già apprezzato nel suo ruolo di giudice dagli appassionati del talent, e Arisa, una novità assoluta per la trasmissione.

Nella quarta edizione, Elio ha seguito la categoria degli Over 25, di cui faceva parte la vincitrice Natalie. Mentre Rosalba Pippa in arte Arisa, dopo aver vinto nella categoria Nuove proposte del Festival di Sanremo nel 2009, è tornata a Sanremo anche l’anno successivo nella sezione «artisti» e - sempre nel 2010 - è stata nel cast fisso della trasmissione Victor Victoria. E continua, intanto, la ricerca dei concorrenti della prossima edizione: la seconda tornata di preselezioni si terrà a Roma dove, tra giovedì 21 luglio e domenica 24 luglio sono attesi migliaia di partecipanti.

I provini si terranno in Piazzale Ferruccio Parri, davanti al Colosseo Quadrato nel quartiere Eur. Per partecipare alle selezioni, gli aspiranti concorrenti dovranno registrarsi al numero 0423 402 300 o sul sito www.xfactor.sky.it. 
Redazione per Il Giornale

venerdì 15 luglio 2011

Tesi, parte software antiplagio Subito sospesi due studenti

Software anti plagio a Ca’ Foscari a disposizione degli studenti: archiviato il primo test a campione, da ottobre sotto la lente 300 tesi di laurea magistrale. E la prima verifica ha scovato due casi di studenti che avevano copiato la loro tesi da materiale già presente sul web rispettivamente per l’80 e il 90 per cento. Entrambi sono stati sospesi.

E’ iniziata con la sessione estiva 2011 la sperimentazione da parte dell’Università Ca’ Foscari di Venezia di uno specifico software in grado di identificare le parti di elaborati non originali. L’ateneo veneziano ha introdotto stabilmente questo sistema di verifica e sostegno al lavoro degli studenti che potranno così avere uno strumento che li aiuterà a verificare l’originalità dei loro lavori. E a non rischiare sanzioni. In corso di stesura potranno infatti controllare che i loro testi non coincidano con documenti o citazioni già elaborati da altri e presenti sul web. Questa iniziativa di Ca’ Foscari va nella direzione dettata dal Codice etico di ateneo adottato all’interno del nuovo statuto approvato nello scorso mese di marzo.

La prima verifica a campione ha riguardato 25 elaborati e ha permesso di scoprire due casi di plagio. Si tratta di tesi presentate da due studenti, una in ambito umanistico e una in quello economico. Hanno dovuto presentarsi davanti alla commissione disciplinare e sono stati sospesi rispettivamente per 6 e 9 mesi. L’obiettivo del ricorso a questo software è prevenire i casi di plagio, fenomeno dilagante in Italia e nel mondo a seguito delle potenzialità offerte da Internet. In una prima fase il software ha verificato a campione solo le tesi dei laureandi dei corsi di laurea magistrale/specialistica, ma a partire dal prossimo autunno verrà applicato in maniera sistematica a tutti i lavori di tesi magistrali. Una misura in linea con una recente sentenza della Cassazione che ha denunciato i rischi del «copia e incolla» dovuti allo sviluppo della rete che ha favorito indirettamente il fenomeno del plagio. Ca’ Foscari si è dunque attrezzata per prevenire forme e metodi impropri di stesura della tesi, sorvegliando che il risultato sia effettivamente quello di un lavoro personale, basato su un uso corretto delle fonti. Per scongiurare il rischio per gli studenti di veder annullato il loro titolo di studio in caso di testi risultati copiati.

Il software, al controllo del quale gli studenti dovranno sottoporre il proprio lavoro, produrrà un report dei risultati a beneficio del docente relatore che, nel caso accertasse effettive anomalie nell’utilizzo delle fonti, potrà decidere il rinvio della discussione di laurea alla sessione successiva. Saranno infatti sempre le competenze e le conoscenze del docente il filtro ultimo per verificare l’originalità dei lavori. Con il software a fungere da campanello d’allarme per segnalare le situazioni a rischio. Secondo il Rettore di Ca’ Foscari Carlo Carraro si tratta di una misura «che vuole prima di tutto essere di servizio ai nostri studenti – sottolinea – per evitare che inciampino in scorciatoie che anche per la Cassazione, possono mettere in dubbio il conseguimento del titolo di studio. Quello del plagio è un tema sul quale prestiamo massima attenzione in ogni direzione. E il nuovo Statuto ci darà strumenti per contrastare in modo più efficace i comportamenti scorretti». Spiega Agostino Cortesi, prorettore alla valutazione: «Dalla prossima sessione autunnale il controllo sarà integrato in una procedura automatizzata di upload, archiviazione e controllo delle tesi di laurea – afferma il prorettore - Lo studente ha l’obbligo, pena rinvio della discussione alla sessione successiva, di procedere con l’upload secondo le tempistiche previste. Una volta effettuato l’upload il software inizierà automaticamente la verifica del documento e, qualora rilevasse una percentuale significativa di similarità con altre fonti, invierà via mail al relatore il report di analisi. Nel report di analisi il relatore potrà verificare le similitudini riscontrate nella tesi, consultare le informazioni relative alle fonti utilizzate e visionare le parti di testo coinvolte.

Il relatore dovrà valutare con tempestività il risultato del controllo e, qualora confermasse la rilevanza della segnalazione, sarà tenuto a comunicarlo al Rettore». Le operazioni di upload si concluderanno circa 6 giorni prima dell’inizio della sessione. Il procedimento si concluderà con la verifica da parte del relatore e terminerà con l’inizio della sessione di laurea. 

Basterà ad Apple un pezzo di carta per conquistare le aziende?

Potrà una singola pagina pubblicitaria rappresentare una svolta epocale? Se succedesse sarebbe la prima volta. Il detto “la pubblicità è l’anima del commercio” non è mai stato tanto considerato a Cupertino. Ben nota è, infatti, la scelta di Apple di destinare ad altre attività di “comunicazione” il budget pubblicitario, seppur con qualche eccezione.


Questa volta, però, l’azienda di Steve Jobs forza la sua natura e acquista una bella quarta di copertina su The Economist con l’intento di scaldare la platea all’arrivo dell’iPhone 5. Il messaggio della pagina è molto chiaro: “l’iPhone è un telefono business”. Per convincerci di questo si ricorda nel testo che nell’Apple Store sono disponibili ben 425mila applicazioni. Già, ma quante sono veramente utili in azienda?

La lista, a titolo di esempio, si esaurisce in cinque remainder: un’applicazione di Bloomberg, una dell’Economist (il giornale in cui è stata pubblicata la pagina pubblicitaria), una di Cisco, una di Oracle e infine iWork, la suite di produttività di Apple. Un po’ pochino, forse, per sperare che i responsabili informatici delle aziende, soprattutto di quelle non americane, decidano di buttare nella spazzatura il contratto di fornitura con Rim BlackBerry (perché è questo l’intento principale) a favore dell’adozione di un iPhone per l’uso corporate.

Nonostante sia innegabile che l’iPhone meriti tutto il successo che ha in ambito consumer e sia comprensibile che molte aziende abbiano iniziato a considerarlo, soprattutto per agevolare la tendenza da parte dei dipendenti di confondere sempre di più attività private e aziendali, una pagina pubblicitaria non è detto che basti.

Per conquistare le aziende ci vuole ben altro. Ci vuole un terminale affidabile e sicuro, certo, ma soprattutto ci vuole una strategia a lungo termine che neanche colossi come Microsoft, fornitore notevolmente introdotto in questo settore, sono riusciti ancora a implementare.

Ci vuole una struttura commerciale locale, per esempio, alla quale Apple ha rinunciato da tempo preferendo mettere in mano agli operatori la responsabilità delle vendite, ci vuole reputazione in ambito business, tutta da dimostrare e da conquistare, e ci vuole, soprattutto, molto, moltissimo tempo.

E poi tempi sono cambiati. È finita l’epoca degli investimenti sconsiderati nell’It da parte delle aziende e, inoltre, la scelta che ha un Cio in questo momento è molto più varia. Ci vogliono dei partner di sviluppo ai quali si deve dare l’opportunità di fare business vero, senza contratti condizionali e poco generosi. Ci vuole, infine, una piattaforma aperta, esattamente quello che non è iOS.

Insomma, ci vuole una mentalità, un’attitudine che non si impara nel tempo di una pagina pubblicitaria, ci vuole molto di più di un terminale valido e di un numero esagerato di applicazioni dalla dubbia utilità in ambito aziendale.
Valerio Mariani per La Stampa

Quando in vacanza si sogna il capo ufficio

Per un sogno Martina perse il capo. E il marito. «Era come avere una doppia vita - rivela Martina De Sortis, 35 anni, impiegata di banca a Roma -. Mi appariva continuamente, soprattutto durante i giorni di vacanza. Il senso di colpa mi ha portato a lasciare il mio compagno». Una decisione che si è conclusa con uno sfogo: «Per colpa tua ora sono sola come un cane», ho urlato al boss un giorno di forte stress. Alla fine sono stata trasferita in un'altra filiale». Il Wall Street Journal, uno dei giornali economici più noti al mondo, ha dedicato al significato dei sogni in cui compare il proprio capo un'intera pagina e un video, con l'interpretazione onirica, nel suo sito web.

Perché il proprio superiore spunta durante il sonno (anche in ferie)? «È un messaggio che arriva dal profondo - spiega Maria Teresa Coglitore, psicoterapeuta e sessuologa -. Un eccesso di emozione che trova nell'irreale una sua soluzione, un invito a ripensare o rivalutare un'esperienza. È un'emozione che non è stata adeguatamente considerata da sveglio. Nel caso raccontato, il sogno del capo è servito per staccarsi da una relazione già finita».

In quaranta anni di carriera gli è capitato di essere stato il protagonista di pensieri notturni. Anche di collaboratrici: «Mi ha fatto piacere, non mi ha imbarazzato - rivela Maurizio Maresca, 64 anni, ex direttore generale della griffe di abbigliamento Kiton, oggi, nel consiglio di amministrazione -. C'è chi mi ha sognato perché aveva timore di me e chi, come uno stagista qualche anno fa, lo ha fatto scambiandomi per San Gennaro che compiva il miracolo di trovare il posto fisso». A lei è mai successo? «Tante volte - riferisce Maresca -. Il cavalier Ciro Paone (patron di Kiton), è un maestro di vita e "di notte" mi dà consigli». Infatti, «la persona sognata riveste un'importanza maggiore di quella che consapevolmente le attribuiamo - continua la psicoterapeuta -. Il capo richiama un tema di riflessione sull'autorità, sul rapporto stretto che abbiamo con gli uomini o le donne. Potrebbe evocare un desiderio di fare carriera. Oppure, può essere significativo di sentimenti più grossi: di tensione o di stima, simpatia, voglia di dialogo».

Proprio quello che si auspica di suscitare Francesco Moreschi, 41 anni, alla guida, con il padre e i due fratelli, dell'omonima azienda di calzature di lusso: «Nessuno ha rivelato di avermi sognato, però, mi farebbe piacere se lo facessero in modo positivo. Ho un rapporto amichevole con i miei 400 dipendenti. Non mi ci vedo come il castigatore che appare loro per timore o perché fa venire l'ansia».

Giuliana Paoletti, amministratore delegato della società di pubbliche relazioni Image Building, si augura, invece, che «nessuno dei 60 dipendenti lo faccia. Non voglio che mi pensino in vacanza. Visto che potrei essere un incubo». Racconta un aneddoto Elena David, 50 anni, amministratore delegato di Una Hotels & Resorts: «La prima cosa che mi ha riferito una dipendente (800 in tutto il Gruppo) tornata dalle ferie è stata: "L'ho sognata, lei mi faceva da personal shopper". Ho una sfrenata e visibile passione per le scarpe. E "virtualmente" l'ho aiutata a scegliere il paio più alla moda». E se un collaboratore le svelasse di averla amata in sogno? «Mi imbarazzerebbe molto - aggiunge -, mi genererebbe una reazione negativa perché significherebbe disconoscere il ruolo che ricopro e considerarmi una femmina. Io sono una donna. E il sogno ha una dimensione privata». «Il capo si ama o si odia - ammette lo scrittore Giuseppe Scaraffia -. È l'ombra del padre (il primo potere con cui abbiamo a che fare), evoca rispetto o ribellione. E in vacanza scatta il meccanismo del lutto: la scomparsa e la mancanza».


Come si confessa a una persona di averla sognata? «In modo vago, allusivo - replica Scaraffia - per far capire che non si può dire (la domanda che scatta subito dopo è: "Com'era?"). Il sogno è meglio del rivelato. Può diventare un'arma di seduzione molto efficace».
Rossella Burattino per Il Corriere della Sera

giovedì 14 luglio 2011

Usa, default sovrano per il Minnesota. Cade una"stella" dell'american dream

The end. Shut down. Il Minnesota è fallito. Mentre l'Unione Europa s'interroga su come salvare la Grecia. Default controllato. Aiuti di Stato. La Bce che compra titoli tossici per finanziare le disastrate finanze elleniche, dall'altra sponda dell'Atlantico l'insolvenza di uno stato sovrano è già realtà. Ed è singolare che accada laddove - ipotizzano gli sherpa della Ue -sia partito l'attacco speculativo (a colpi di short selling) nei confronti delle traballanti economie Piigs.


LA CRONACA - Mentre Obama tratta senza sosta per evitare il default agli Stati Uniti il Minnesota è fallito. «Shut down» compare su i cartelli affissi in tutti gli uffici pubblici dello Stato. I 24mila dipendenti statali che da giorni bivaccano davanti alla sede del governo federale hanno un biglietto di sola andata per le loro case. Chiusi i parchi pubblici, bloccati i lavori di strade e altre infrastrutture. In cassa non ci sono soldi e il governatore, il democratico Mark Dayton, non ha potuto far altro che prendere atto della realtà. Certo, le immagine degli scatoloni dei dipendenti Lehman Brothers che abbandonavano il posto di lavoro, scomparso nell'arco di uno schiocco di dita, sono ben lungi dal replicarsi sotto un altro parallelo. Ma il Minnesota si sta rivelando l'esperimento prodromico del rischio che stanno correndo gli Stati Uniti. La gestione dei repubblicani, che guidano lo Stato da un ventennio, fatta di tagli alle tasse per i ricchi e tagli al welfare, è stata troppo dispendiosa, e quindi ha impoverito le finanze statali. Anche l'elezione del democratico Dayton, lo scorso anno, non ha sortito l'effetto sperato: la maggioranza che aveva nel parlamentino di Minneapolis non era sufficiente a far passare le leggi senza la collaborazione dell'opposizione. I repubblicani hanno preferito fare ostruzionismo e boicottare ogni proposito di risanamento. E ora Pawlenty, ex governatore repubblicano del Minnesota (tra i maggiori responsabili del fallimento) punta alla Casa Bianca nel 2012. Per riuscire a fare a Washington quello che non è stato capace di fare a Minneapolis?

Fabio Savelli per Il Corriere della Sera

mercoledì 13 luglio 2011

Ragazzi non cercate un lavoro, inventatevelo!

"The Start-Up of You" si intitola l'editoriale di Thomas Friedman sul New York Times che riprende il titolo dell'ultimo libro di Reid Garrett Hoffman (co-fondatore di LinkedIn e board member, tra le altre, di Mozilla e Zynga).

Friedman inizia il suo articolo osservando le cinque società più interessanti sul panorama high-tech: Facebook vale circa 100 miliardi di dollari, Groupon 30, Zynga 20, Twitter e LinkedIn 8. Quasi 200 miliardi di valore complessivo. Ma se mettessimo insieme tutti i loro dipendenti il Madison Square Garden con i suoi 20 mila posti sarebbe più che sufficiente per accoglierli ("and still have room for grandma" aggiunge Friedman). Non grandi numeri che fanno grandi numeri.
E che profilo hanno questi "lavoratori" della nuova era? In prevalenza "talented engineers". Ma al di là delle competenze tecniche, una attitudine ben marcata, quella all'imprenditorialità: si tratta infatti di "people who can invent, adapt and reinvent their jobs every day, in a market that changes faster than ever".Capacità di produrre valore. In Silicon Valley i dipendenti sono valutati su base trimestrale, non annuale, in quanto su mercati che cambiano così rapidamente non ci si può permettere di aspettare un anno per capire se una persona stia facendo un buon lavoro o meno.

I percorsi tradizionali di carriera non ci sono più (“The old paradigm of climb up a stable career ladder is dead and gone”), il posto fisso e la crescita per passaggi progressivi pure ( “No career is a sure thing anymore"). Nel presentarsi ad un colloquio di lavoro siate certi che chi avete davanti si farà le seguenti domande nel valutarvi:
1) E' capace di produrre valore? ("Can this person add value every hour, every day — more than a worker in India, a robot or a computer?")
2) Ha spirito imprenditoriale e capacità di innovare? ("Can he or she help my company adapt by not only doing the job today but also reinventing the job for tomorrow?")
3) Saprà adattarsi? ("Can he or she adapt with all the change, so my company can adapt and export more into the fastest-growing global markets?").
Non puoi più pensare: ho un titolo di studio, qualcuno verrà a cercarmi ... devi invece capire quali mercati stanno crescendo e in che direzione ... e, soprattutto, capire come su questi mercati tu possa contribuire a creare valore in un modo cui altri non hanno ancora pensato (“find a way to add value in a way no one else can").

Chi cerca un lavoro oggi ha di fronte lo stesso dilemma che l'imprenditore ha sempre avuto: "differentiate or die". In una era di imprenditorialità spinta e diffusa ("that now goes for all of us”) lo spirito dello startupper è quindi quello che paradossalmente vi aiuterà a trovare lavoro o, se non a trovarlo, a crearvelo...
Alberto Onetti per Il Corriere della Sera

Manovra, la Casta (del Pdl) si ribella Raccolta di firme tra i parlamentari contro la manovra: no all'abolizione dell'Ordine per notai e avvocati

Mentre il Paese è sull'orlo del baratro a causa della crisi finanziaria che ha investito la Borsa e i titoli di Stato, la Casta si ribella all'amara medicina della manovra del govero.

RACCOLTA DI FIRME - È in corso infatti all'interno del Pdl una raccolta delle firme per protestare contro la manovra da domani al voto del Senato (al momento sarebbero circa un'ottantina). «Fino a quando non verrà tolta la norma che abolisce gli ordini professionali, noi il testo - assicura un avvocato del Pdl - non lo voteremo mai dovesse anche cadere Tremonti». Un'altra norma contro la quale si stanno alzando le barricate tra i berlusconiani è quella che renderebbe incompatibile l'incarico di parlamentare con quello di sindaco o di presidente di provincia. Solo alla Camera gli interessati sarebbero 9 presidenti di provincia e 6 sindaci. «E state pur certi - si assicura ancora nel Pdl - che anche quella norma deve saltare se vogliono che votiamo la manovra».

LA NOTA - «Esprimiamo una forte preoccupazione per il contenuto della manovra finanziaria che tratta della liberalizzazione delle professioni, in quanto l'eventuale attuazione comporterebbe automaticamente la distruzione del sistema di cassa degli ordini» affermano in una nota congiunta gli onorevoli Mancuso, Marsiglio, Rampelli, Ghiglia e Barani del Pdl. «Al di là del disagio che questo comporterebbe - aggiungono -, si avrebbero effetti negativi immediati perché verrebbe a saltare il meccanismo fondamentale di alimentazione delle casse degli ordini e ci troveremmo ad avere 1,6 milioni di professionisti costretti a bussare alle casse dello Stato».

LA RUSSA - A dar manforte alla Casta pensa anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa: «Da avvocato ritengo che sia una norma che merita un approfondimento ulteriore. Non mi sembra materia da inserire in un decreto». L'avvocato-ministro commenta infatti così la decisione di molti avvocati del Pdl di raccogliere le firme per protestare contro la norma che abolisce gli ordini professionali inserita nella manovra. «Ritengo che la protesta degli avvocati - conclude La Russa - non sia affatto irragionevole».

PREOCCUPATI ANCHE PER IL TAGLIO DEGLI STIPENDI - A preoccupare molti parlamentari del Pdl è poi anche un emendamento firmato dai capigruppo dell'opposizione al Senato che tra l'altro prevede l'equiparazione degli stipendi di deputati e senatori a quelli di pari grado in Europa e cambiamenti nel sistema dei vitalizi. Per quanto riguarda quest'ultimo tema l'emendamento specifica: «Gli uffici di presidenza delle due Camere adottano sistemi previdenziali basati sul metodo di calcolo contributivo, prevedendo requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso ai trattamenti corrispondenti a quelli applicati ai lavoratori dipendenti, ai sensi della disciplina pensionistica vigente». L'emendamento è firmato da Pd, Idv e Udc.

GASPARRI - Il tema dell'abolizione degli ordini professionali che sta agitando la maggioranza in Senato «non sussiste» afferma invece il capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri. «La formulazione del tema è già superata. Molti reagiscono a un testo che non c'è. Comunque ne stiamo parlando».


DI PIETRO - «È la difesa della corporazione che antepone i propri interessi a quelli dei cittadini» sottolinea invece il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro. «Noi dell'Idv, invece - aggiunge Di Pietro - abbiamo presentato un emendamento al riguardo che interessa sempre l'avvocatura. Pensiamo infatti che sia necessario dare la possibilità anche ai giovani avvocati di far carriera e di potersi misurare senza dover necessariamente passare attraverso l'imbuto di studi legali blasonati, che diventano importanti solo per le parcelle esose che fanno, piuttosto che per la loro abilità e bravura nel seguire i propri clienti».

Redazione online per Il Corriere della Sera

Il telo «miracoloso» fa sparire la sabbia

Stanchi della sabbia che si attacca al vostro telo mare e che da lì passa sulla vostra pelle o magari sul gelato che state mangiando? Se la risposta è scontata, la soluzione lo diventerà presto, grazie al «Sandless Beach Mat», uno speciale telo da mare (ma non solo) che promette di tenere lontani tanto i fastidiosi granelli di sabbia quanto la sporcizia e l’acqua, lasciando la superficie dell’asciugamano pulita ed immacolata. A compiere il miracolo è un tessuto, composto da due strati di poliuretano brevettato, che in pratica agisce come un filtro a senso unico, «aspirando» il granello di sabbia non appena questi tocca il telo ed impedendo il procedimento inverso (ovvero, che «l’intruso» venga spinto indietro).


USO MILITARE - Nato in origine per uso militare, visto che serviva per gli elicotteri in fase di decollo e di atterraggio e per tenere lontana la polvere dagli oggetti, ora la versione ad uso civile è stata messa sul mercato dalla Hammacher Schlemmer ed è acquistabile online per 59,95 o 69,95 dollari (42,5 o 49,5 euro), a seconda che si scelga il modello piccolo (90 centimetri) o quello grande (160 centimetri). Disponibile in arancione e blu, il «Sandless Beach Mat» può facilmente trasformarsi in una borsa da viaggio, mentre quattro anelli posti ad ogni angolo del telo ne permettono l’ancoraggio a terra, così da rendere la superficie ancora più piatta. Resistente alle abrasioni degli agenti esterni e alle unghie dei nostri adorati pets, il telo è anche antiscivolo e non assorbe l’umidità, evitando così la formazione di muffe o funghi. 
 
Simona Marchetti per Il Corriere della Sera

Il patto segreto di Alberto e Charlene: un erede per poi poter divorziare

Separati in viaggio di nozze. Luna di miele da dimenticare per i «freddi» sposini Alberto e Charlene. Dopo la cerimonia del 2 luglio e le insistenti voci di una tentata fuga da parte di lei, le cose sarebbero state messe in chiaro: dopo l'erede, unico motivo dell'operazione, i due si separeranno.

SENZA PASSIONE - Non accenna a placarsi la tempesta di voci sulla coppia monegasca, che doveva ripercorrere le tracce di quello che fu il matrimonio del secolo - fra Ranieri II e Grace Kelly - ma che sta facendo chiacchierare soprattutto per la mancanza di passione fra i due protagonisti. Il Palazzo di Monaco continua intanto a negare ogni problema fra i due e a minacciare querele a chi si ostinerà - e sono tanti - nel dipingere a tinte gelide il nuovo menage. Ex campionessa di nuoto, Charlene Wittstock - che avrebbe provato a fuggire in aereo 10 giorni prima delle sontuose nozze - sarà infine libera di lasciare il Principe Alberto di Monaco quando gli avrà dato un figlio, legittimo erede al trono monegasco.

PATTO SEGRETO - Sarebbe questo «patto segreto» tra Charlene e Alberto, raccontato oggi dal sito internet sudafricano Independent online, ad aver calmato la furia della principessa, scatenata probabilmente dalla scoperta di risvolti poco chiari nel passato e nei rapporti avuti in precedenza dal principe Alberto. «Una volta che sarà assicurata la successione al trono, entrambi potranno tornare ad essere liberi. Il divorzio - dice la fonte - è una tradizione della famiglia Grimaldi». Basti pensare alle sorelle di Alberto, Carolina divorziata da Philippe Junot (il primo marito, ndr), Stephanie divorziata prima da Daniel Ducruet poi dall'artista di circo Adans Lopez Peres. Fra questi due mariti, una figlia fuori dal matrimonio con una ex guardia del corpo, Jean Raymond Gottlieb.

HOTEL DIVERSI - Intanto, il viaggio di nozze dei due sposini non sembra di quelli romantici, sempre stando alle voci che rincorrono la coppia. Secondo il tabloid britannico The Sun, dormono addirittura in hotel diversi, distanti l'uno dall'altro una quindicina di chilometri, nonostante la prenotazione «ufficiale» di una suite con un sontuoso letto matrimoniale e piscina privata (4.000 sterline a notte) all'Oyster Box Hotel a Umhjanga Rocks, vicino a Durban. In realtà - secondo il giornale britannico - Alberto alloggia all'Hilton di Durban, mentre la moglie soggiorna all'Oyster Box, ma in una suite meno sontuosa. «Doveva essere una luna di miele da favola, ma la principessa ha dormito sola a 16 chilometri di distanza dal suo principe - riporta il Sun -. Quando i fotografi hanno chiesto alla coppia reale di baciarsi è stato un altro momento orribile: Charlene ha girato la testa e Alberto le ha dato un bacetto frettoloso sulla guancia». Comunque la «faticosa» luna di miele è stata abbreviata causa «affari urgenti» che i due hanno da sbrigare a Montecarlo: probabilmente il test del DNA al quale deve sottoporsi Alberto dopo la richiesta di riconoscimento di paternità (la terza) che gli è piovuta sulle spalle proprio nei giorni prima del matrimonio
Redazione online per il Il Corriere della Sera

A spasso per Google+: ecco come il social network ha già raccolto 10 milioni di utenti

Per ora continua ad espandersi tramite inviti – anche se ogni tanto ci sono delle improvvise aperture casuali in home page. Ma anche se per entrare bisogna aspettare la comparsa dell’agognata mail nella propria casella di posta, secondo alcune stime Google+, il social network lanciato dal motore di ricerca solo dieci giorni fa, conterebbe già 10 milioni di utenti, con una crescita di oltre due milioni ogni 32 ore.

Plus si sta popolando. E sta dettando le sue regole. Man mano, il senso di straniamento tipico del “mi sono iscritto ma non conosco nessuno” si va affievolendo e, come sempre succede con ogni innovazione tecnologica, gli utenti riprogrammano lo strumento inventandone usi e costumi.

Come abbiamo già scritto, Google+ ha fatto tesoro delle “debolezze” di Facebook. Il meccanismo scelto è quello delle “cerchie” che sostituiscono gli amici di Facebook e che, in qualche modo, aprono le porte ad un po’ di sana “ipocrisia digitale”, strumento utile nella vita reale (magari il vicino di casa mi sta antipatico, ma educatamente lo saluto lo stesso) così come in quella digitale (su Google+ aggiungo il vicino di casa alle mie cerchie, ma negli antipatici, tanto lui saprà mai in quale cerchia è stato inserito).

Plus, inoltre, garantisce ai suoi utenti un controllo totale sui contenuti pubblicati: si può per esempio verificare come una singola persona vede il nostro profilo e, novità importante, si può modificare uno status dopo che è stato pubblicato (strumento utile per eliminare i refusi, ma non solo).

Da Google assicurano che questo periodo di interregno tra uno strumento aperto a tutti e un prototipo da testare solo su invito, non risponde a strategie di marketing, ma alle necessità di migliorare in corsa il social network; i “tester” (ovvero i dieci milioni che si sono già iscritti) sono avvertiti: Google+ potrebbe cambiare, e molto, in base ai feedback che Mountain View riceverà. Per questo, nonostante rumors e indiscrezioni che si moltiplicano online, non esiste ancora una data di “varo” ufficiale con le iscrizioni aperte a tutti.

Nonostante ciò, come in ogni ambiente popolato da umani, già una cultura peculiare sta emergendo su Plus. Cosa funziona e cosa no? Per quali fini lo strumento si presta al meglio? Quali forme di ironia peculiare verranno elaborate? – qua c’è già un esempio in italiano sulle possibili “cerchie” del Papa. Proprio in queste ore questi temi vengono sviluppati e rimbalzano di profilo in profilo, di sito in sito, in tempo reale.

Negli Usa è già partito un dibattito: Google+ ucciderà i blog? Sembra una boutade, ma tra le opzioni fon-da-men-ta-li del social network c’è la possibilità di pubblicare uno status di qualsiasi lunghezza (su Facebook il limite è 420, su Twitter 140): alcuni status possono diventare di fatto un post con tanto, udite udite, di permalink, di riferimento unico in rete (si ottiene cliccando sull’orario di pubblicazioni dei post).

Kevin Rose, prodigio della cultura digitale e già fondatore di Digg, è convinto che Plus può essere più performante dei blog e lo ha annunciato senza tanti giri di parole: “Ho deciso di reindirizzare il mio sito kevinrose.com sul mio account Google+ – scrive, manco a dirlo, sul social network -. G+ mi da molto più feed-back in tempo reale e occasioni di coinvolgere i lettori, di quanto il mio blog mi abbia mai dato”.

Curioso anche che su Plus sia ricomparsa una vecchia conoscenza della rete. Bisogna tornare con la memoria a qualche anno fa, quando spopolava MySpace. Allora, appena aperto un account sul portale, ogni iscritto si trovava “un amico” di default: era Tom Anderson, che di MySpace era uno dei fondatori (e che poi sarà tra quelli che venderanno il portale a Murdoch per oltre 300 milioni di dollari). Tom, che ha nel profilo la sua foto “amatoriale” già famosa in tutto il mondo, è entusiasta di Plus (ha già oltre ventimila followers) e pubblica sul suo profilo novità, segnalazioni, riflessioni e non si tira indietro nel delineare scenari futuri: l’uso delle Gif animate, ne è sicuro, vietate su Facebook e su Twitter, sarà un punto di forza di Plus (guardate questo esempio).

Infine, interessante capire chi sul social network sta raccogliendo più follower, più seguaci. Posto che tutti possono seguire tutti (anche se ognuno poi decide con chi condividere cosa), sulla vetta della top ten si trova, a grande sorpresa, proprio lui: Mark Zuckerberg, il fondatore e proprietario di Facebook che ha aperto fin da subito aperto un suo account per studiare le contromosse del rivale (Mark è seguito da 134,328 followers). In seconda e terza posizione, inseguono i due fondatori di Google Larry Page (73,319 follower) e Sergey Brin (56,015) – ambedue pubblicano foto delle loro imprese spericolate in paracadute. Quindi Vic Gundotra, vicepresidente di Google (38,302); il blogger e “technical evangelist” Robert Scoble (37,105); il giornalista “tecnologico” Leo Laporte (36,577); Kevin Rose, inventore di Digg che abbiamo già citato (31,947); Matt Cutts, personalità di riferimento nel mondo del software; (27,921); il portale Mashable (27,390); infine il programmatore di videogioci Markus Persson (25,894 follower).

Un ultima cosa: va segnalato come Plus abbia cancellato per ora i profili aperti da aziende, associazioni e comunque tutti gli account non legati a persone (anche se alcuni sono riusciti a salvarsi dalla mannaia). Da Google assicurano: le aziende avranno presto un loro strumento a disposizione “estremamente” potente per entrare in contatto con gli utenti su Google+.

Anche su questo piano Plus sfida Facebook e Twitter. Ce la farà? In rete i commenti sono orientati più al “Sì” che al “No”. E l’ha detto recentemente anche il presidente Google Eric Schmidt: “Penso proprio che nel mercato dei social network ci sia spazio anche per noi”.
Federico Mello per Il Fatto Quotidiano