venerdì 15 luglio 2011

Basterà ad Apple un pezzo di carta per conquistare le aziende?

Potrà una singola pagina pubblicitaria rappresentare una svolta epocale? Se succedesse sarebbe la prima volta. Il detto “la pubblicità è l’anima del commercio” non è mai stato tanto considerato a Cupertino. Ben nota è, infatti, la scelta di Apple di destinare ad altre attività di “comunicazione” il budget pubblicitario, seppur con qualche eccezione.


Questa volta, però, l’azienda di Steve Jobs forza la sua natura e acquista una bella quarta di copertina su The Economist con l’intento di scaldare la platea all’arrivo dell’iPhone 5. Il messaggio della pagina è molto chiaro: “l’iPhone è un telefono business”. Per convincerci di questo si ricorda nel testo che nell’Apple Store sono disponibili ben 425mila applicazioni. Già, ma quante sono veramente utili in azienda?

La lista, a titolo di esempio, si esaurisce in cinque remainder: un’applicazione di Bloomberg, una dell’Economist (il giornale in cui è stata pubblicata la pagina pubblicitaria), una di Cisco, una di Oracle e infine iWork, la suite di produttività di Apple. Un po’ pochino, forse, per sperare che i responsabili informatici delle aziende, soprattutto di quelle non americane, decidano di buttare nella spazzatura il contratto di fornitura con Rim BlackBerry (perché è questo l’intento principale) a favore dell’adozione di un iPhone per l’uso corporate.

Nonostante sia innegabile che l’iPhone meriti tutto il successo che ha in ambito consumer e sia comprensibile che molte aziende abbiano iniziato a considerarlo, soprattutto per agevolare la tendenza da parte dei dipendenti di confondere sempre di più attività private e aziendali, una pagina pubblicitaria non è detto che basti.

Per conquistare le aziende ci vuole ben altro. Ci vuole un terminale affidabile e sicuro, certo, ma soprattutto ci vuole una strategia a lungo termine che neanche colossi come Microsoft, fornitore notevolmente introdotto in questo settore, sono riusciti ancora a implementare.

Ci vuole una struttura commerciale locale, per esempio, alla quale Apple ha rinunciato da tempo preferendo mettere in mano agli operatori la responsabilità delle vendite, ci vuole reputazione in ambito business, tutta da dimostrare e da conquistare, e ci vuole, soprattutto, molto, moltissimo tempo.

E poi tempi sono cambiati. È finita l’epoca degli investimenti sconsiderati nell’It da parte delle aziende e, inoltre, la scelta che ha un Cio in questo momento è molto più varia. Ci vogliono dei partner di sviluppo ai quali si deve dare l’opportunità di fare business vero, senza contratti condizionali e poco generosi. Ci vuole, infine, una piattaforma aperta, esattamente quello che non è iOS.

Insomma, ci vuole una mentalità, un’attitudine che non si impara nel tempo di una pagina pubblicitaria, ci vuole molto di più di un terminale valido e di un numero esagerato di applicazioni dalla dubbia utilità in ambito aziendale.
Valerio Mariani per La Stampa

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