mercoledì 20 luglio 2011

Riecco le maggiorate. Supersexy e manesche

«Più tette, più proiettili, più sberle». Mai slogan fu più azzeccato e veritiero per lanciare un film, condensando, in meno di una riga, i tre motivi che spingeranno, da venerdì prossimo, migliaia di giovincelli in calore a vedere Bitch Slap - Le superdotate, pellicola datata 2009 e miracolosamente tirata fuori dal solito cassetto estivo.

Letteralmente, il titolo significa, nello slang americano, «schiaffo dato con la mano aperta» e di manrovesci, in effetti, si abbonda. Esattamente come nelle misure prosperose dei seni delle tre protagoniste, Julia Voth, Erin Cummings, America Olivo, che segnano un ritorno, sul grande schermo, delle supermaggiorate.
Il film è un chiaro omaggio al genere «exploitation» tanto caro al maestro del genere, quel Russ Meyer che a partire dal glorioso Faster, Pussycat! Kill! Kill! del 1965, adorato (non a caso) da Quentin Tarantino, ha dato voce, a suo modo, ai principî del femminismo; le sue «eroine» menavano come fabbri e sparavano come killer, ruoli riservati, fino a quel momento, esclusivamente ai maschi, sculettando però in abiti succinti che esaltavano fisici da conigliette. Un filone che ha prosperato soprattutto nei b-movies anni Settanta e che ha trovato una sorta di glorificazione grazie ai più cerebrali Tarantino (Kill Bill su tutti) e Robert Rodriguez.

L’operazione compiuta dal regista Rick Jacobson - uno che è «cresciuto artisticamente» dirigendo episodi di Baywatch, Xena principessa guerriera, Hercules e Spartacus, giusto per inquadrare un curriculum quanto mai azzeccato per questo tipo di film - è dunque chiaramente nostalgica per non dire goliardica e come tale deve essere vista. Una pellicola che miscela tutto quello che ha reso popular questo particolare genere sottocommerciale, affidando a una trama bizzarra (vi è chiaro che è solo un pretesto?) lo spunto per esaltare tutto l’immaginario (soft)erotico dello spettatore. Così, una spogliarellista, una ex galeotta pazza e una donna manager di potere (ma non manca la giapponesina cattiva vestita da scolaretta) si ritrovano in un deserto di Las Vegas, tra due auto e una roulotte, alla ricerca di un carico di diamanti appartenente a un misterioso quanto sanguinario malvivente.

E qui rimangono con scollature e tacchi alti, sangue e sudore, trascorrendo i successivi 105 minuti (eccessivi) a giocare con secchi d’acqua che mettono ancora più in luce, al ralenti, le loro forme abbondanti (neanche fossimo su Playboy Channel, con i filmati delle conigliette alle prese con il lavaggio delle macchine), brandendo enormi mitragliatrici (ogni allusione è puramente voluta), combattendo tra loro a mani nude (ci manca solo il fango) con tanto di miagolio, strappandosi vestiti che si assottigliano sempre di più, lanciandosi in rapporti lesbo (ma non illudetevi, si vede poco o nulla di quello che i maschietti sperano) che coinvolgono anche una suora.

I maschi? Comparse da brutalizzare dopo avergli fatto fare la figura dei fessi. Il tutto servito con qualche split screen, flashback alla Memento, un finale prevedibile e un budget da minimi sindacali.
Un fumettone stracult, insomma, trash, pulp, «tamarro», triviale nel linguaggio, esagerato come il push up delle tre «ladies»; ma maledettamente divertente, esteticamente galvanizzante. Meglio se visto dopo una fetta di anguria, giusto per non dimenticarsi che siamo pur sempre in estate.

Maurizio Acerbi per Il Giornale

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